L’estate è spesso la più cafona delle stagioni, anche per l’eccesso di rumore. Un articolo di Dalibor Frioux pubblicato su Études. Revue de culture contemporaine e ripreso dall’Osservatore Romano di ieri, venerdì 28 luglio, può servire come riflessione
«Il XX secolo è, tra le altre cose, l’era del rumore. Il rumore fisico, il rumore mentale e il rumore del desiderio; noi deteniamo per tutti e tre il record della storia. Il che non ha nulla di sorprendente; di fatto tutte le risorse della nostra tecnologia sono state quasi miracolosamente impiegate nell’assalto attuale contro il silenzio».
Ecco cosa scriveva Aldous Huxley (1894-1963) nel suo saggio La filosofia perenne, pubblicato nel 1945, in cui l’instancabile studioso esamina i grandi temi comuni a tutte le saggezze del mondo. Il silenzio è ai primi posti, accanto alla preghiera, alla verità e alla carità: si ascolta Dio, o qualsiasi forma di assoluto, solo facendo silenzio dentro di sé, silenzio della bocca, del pensiero e della volontà. Il silenzio non fa altro che permettere all’essenziale di farsi udire, dopo un tempo di adattamento, proprio come le stelle di un cielo estivo appaiono solo quando si spengono le luci artificiali.
Se il XX secolo è l’era del rumore, che dire di quello successivo in cui noi viviamo? Potrebbe essere l’era del baccano. L’urbanizzazione e il sovrappopolamento delle megalopoli hanno creato livelli acustici impensabili, in particolare in Asia. Ma il nostro secolo ancora giovane è andato ben oltre, sta diventando l’era dell’inquinamento acustico. Passi che gli esseri umani s’infliggano, fin dalla più tenera età, decibel provenienti della strada, dal cielo o da auricolari fissati alle orecchie.
Ma la deriva è la stessa dell’inquinamento luminoso: a farla breve, le nostre sregolatezze corrodono la natura in generale, oltre la natura umana.
Ora, la facoltà di emettere e di percepire suoni è essenziale per gli esseri viventi: esiste un’ecologia sonora o acustica, iniziata dal compositore canadese Raymond Murray Schafer, che studia il rapporto tra gli esseri viventi e il loro ambiente sonoro. Certo, una giungla subtropicale è tutt’altro che silenziosa, ma consente una “sinfonia della vita e della natura” che mescola la sfera inorganica, vegetale e animale. Come esiste la condivisione dello spazio vitale, così esiste una condivisione fondamentale del silenzio. Se occorre la trasparenza per vedere i colori, occorre il silenzio perché i suoni abbiano valore, come sa bene ogni musicista.
La “grande orchestra animale” di cui parla l’esperto di bioacustica Bernie Krause, viene poco a poco schiacciata dai trasporti stradali e aerei, dall’espansione urbana, dall’estrazione delle risorse. Essendo tutto collegato, l’impatto sugli animali, come gli uccelli o gli insetti spaventati dal rumore, ha ripercussioni sulla flora: meno impollinazione, meno fioritura, meno vegetazione, come mostra, dal 2012, uno studio di alcuni ricercatori americani dell’università della Carolina del Nord. Più di recente, uno studio pubblicato sulla rivesta «Science» ha mostrato la vastità delle perturbazioni acustiche, anche nelle zone più selvagge degli Stati Uniti.
Il “mondo del silenzio” sottomarino di Jacques-Yves Cousteau purtroppo non è da meno. È diventato uno dei mondi più rumorosi: le eliche dei portacontainer, emblemi della globalizzazione, delle petroliere o delle navi da crociera producono basse frequenze che confondono i grandi cetacei, fino a spingerli a spiaggiarsi. I sonar delle navi militari, i sondaggi con le bombe delle prospezioni petrolifere, sono come granate assordanti e aumentano la confusione.
Come sempre, la tecnologia pretende di risolvere i problemi che crea: una scuola disturbata dal passaggio degli aerei si vedrà finanziare il suo isolamento acustico all’ultimo grido dall’aeroporto; sulla testa degli adolescenti troneggeranno sempre più caschi con riduttore sofisticato del rumore; si cercherà di allineare i corridori aerei con i grandi assi stradali, di tenere distanti gli uccelli dalle piste di decollo mediante ultrasuoni e di allontanare al tempo stesso i mammiferi marini dalle grandi rotte marittime. Ognuno avrà il suo corridoio, il suo minuto di tolleranza, purché il rumore di fondo della nostra civiltà possa gonfiarsi. Allora, come sentirsi vivere senza considerare di sentir vivere l’universo? In questo mondo di monadi isolate ed efficienti che ci viene promesso, in cui l’isolazione diventa presto isolamento e crescente frammentazione degli ambiti di vita, qualcosa è andato perso lungo il cammino, il dono più grande e la condivisione di quei beni comuni che sono il silenzio, l’ascolto e, infine, il rispetto.